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BREXIT – Gli effetti catastrofici sulla Premier League e sul calcio europeo

Indipendence Day   

La Gran Bretagna ha votato per uscire dall’Unione Europea. Gli uomini della City ascoltano le parole di dimissioni del Premier Cameron, scaldano le dita sui loro dispositivi, commentando freneticamente quanto accaduto, temendo il peggio per il proprio sistema economico, e forse anche per il proprio lavoro.

Il referendum è di tipo consultivo, adesso il successore di Cameron dovrà intraprendere questo percorso voluto dal popolo. Da oggi seguiranno due anni di negoziato per completare l’uscita dal sistema UE.

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Sicuramente si prospettano forti ripercussioni, ma bisogna vedere come si muoverà il Regno Unito nelle politiche da adottare per non uscirne indebolita. L’ipotesi più semplice vedrà il Regno Unito unirsi all’Islanda o alla Norvegia come membro dello Spazio Economico Europeo (in modo da avere accesso al suo mercato interno). Oppure, potrebbe scegliere il modello della Svizzera.

 Ma cosa comporterà Brexit al calcio inglese? 13522415_1165428303520964_1160592476_n

La Premier League pesa 3,4 miliardi di sterline (4,86 miliardi di euro) sul PIL del Regno Unito, 6 miliardi alla produzione economica del regno unito e 2,4 miliardi di sterline in tasse, grandi cifre.

Se la Sterlina ne uscisse indebolita, si prospetterebbe una difficoltà nell’acquisizione di giocatori oltremanica poiché aumenterebbero i costi per le società inglesi, viceversa per noi converrebbe poiché il mercato inglese si renderebbe più appetibile. Ma sono tutte supposizioni perché bisogna vedere i comportamenti dei mercati che per ora impazzano.

Si parla di 100 giocatori solo in Premier, per un totale di 322 giocatori in tutti i campionati maggiori del Regno Unito, che non rientrerebbero più nello status di comunitario. Il 65% dei giocatori arriva da paesi UE.

Negli ultimi anni la Federazione Inglese ha applicato regole molto più severe nell’acquisizione di giocatori extracomunitari.

Un giocatore extracomunitario deve aver giocato, nei 24 mesi precedenti al trasferimento, almeno il 30% delle partite della propria Nazionale maggiore a cui è stato convocato, se la Nazionale in questione è tra le prime dieci del ranking FIFA; almeno il 45% se la Nazionale ha un ranking compreso tra l’11esimo e il 20esimo posto; almeno il 50% se la Nazionale ha un ranking tra il 21esimo e il 30esimo posto; almeno il 75% se la Nazionale ha un ranking tra il 31esimo e il 50esimo posto.

Se fossero già state applicate giocatori come N’Golo Kante del Leicester e Dimitri Payet del West Ham non otterrebbero il permesso di lavoro.13509742_1165428430187618_469129329_o
Possiamo solo ipotizzare che queste regole possano essere applicate a giocatori europei in quanto futuri extracomunitari. Forse manterranno lo status quo limitatamente alla libera circolazione dei lavoratori.

Ciò che possiamo sicuramente dare per scontato è l’impatto negativo vero i giovani talenti provenienti da paesi UE.

 

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La regolamentazione FIFA è chiara ed è rigida, riguardo il tesseramento di giocatori con età inferiore ai 18 anni. Infatti vieta il trasferimento di giocatori extracomunitari ma da la possibilità di tesserare ragazzi fra i 16-18 anni di età che vengono trasferiti dentro l’UE, quindi comunitari.

Brexit aggraverebbe questo scenario, squadre importanti come Arsenal o lo United, da sempre considerate fra i migliori vivai mondiali, si ritroverebbero improvvisamente impossibilitate dalla possibilità di fare lo scouting che le ha contraddistinte in questi anni e che le ha portato a vincere e a far cassa.

Il calcio si era unito nell’essere contrari all’uscita dall’ Europa, lo stesso Beckham, Karren Brady, e i numerosi striscioni apparsi durante le partite della nazionale inglese durante Euro2016 danno dimostrazione di questo 48%.

Ora bisogna vedere cosa ci riserverà il futuro di questa Brexit, oltre che a livello sportivo, soprattutto nel senso di Unione Europea.

 

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