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Coni – Enrico Cataldi si dimette da procuratore generale

Ieri al palazzo H del Coni a Roma sono arrivate le dimissioni del generale Enrico Cataldi, l’uomo scelto da Giovanni Malagò appena 3 anni fa per guidare una riforma storica. Il Gen. Cataldi lascia quindi il ruolo di procuratore generale, arrivato forse oltre il limite di sopportazione davanti a quelle che lui definisce “le lobby delle Federazioni”. Il Corriere della Sera riporta i motivi delle dimissioni e le sue parole.

Malagò aveva scelto lui 3 anni fa per puntare su una persona super partes ed evitare che nei processi sportivi la giustizia rimanesse nelle mani di giudici scelti proprio dalle federazioni. Un compito ben accolto all’inizio da chi per una vita ha lottato nell’Arma contro il terrorismo.

Dopo 3 anni però, Cataldi ha deciso di mollare. L’episodio che lo ha convinto a cedere è stata la sentenza con cui due giorni fa, il tribunale di appello della federazione danza sportiva, ha concesso una grazia all’ex presidente Ferruccio Galvagno, gia radiato per le vicende di Danzopoli e ora di nuovo sotto accusa per aver favorito l’elezione di un suo uomo così da ottenere l’annullazione della sua pena. Dalla radiazione, Galvagno ha subito una riduzione di pena a soli 5 anni.

Il generale Cataldi spiega cosi le dimissioni parlandl anche dei processi sul calcio, per cui Malagò lo ha pregato (inutilmente) di restare: “Una decisione frutto di un patto scellerato che vanifica il progetto di riforma della giustizia. Ma non me ne vado per questo: all’interno del Coni c’è una lobby potente, contraria al progetto di Malagò, che è arrivata ad ottenere un pronunciamento dell’avvocatura dello stato che giudica il mio ruolo incompatibile con la legge Madia (quella che vieta a chi ha una pensione statale di avere un ruolo dirigenziale retribuito, ndr) pur non essendo io un dirigente e pur godendo della carica da prima dell’applicazione della legge. Malagò mi ha scongiurato di restare, perché sono in ballo procedimenti importanti anche nel calcio, col campionato alle porte. Ma non ci sono le condizioni. Sapevamo, io, il presidente e i miei sostituti, che la riforma avrebbe incontrato resistenze procurandoci molti nemici. Ma qui c’è un muro che si oppone a ogni cambiamento: la giustizia è e deve restare cosa delle federazioni e nessuno super partes deve poter metterci il naso. Ho passato la vita a lottare cercando di fare giustizia e seguendo casi difficilissimi, ora mi rendo conto nello sport l’impresa è superiore alle mie forze».

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