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Mental coaching all’Avellino Tennis Academy

Il mental coach è una delle figure più interessanti dello sport moderno. In questo senso apripista è il tennis che per le sue peculiarità, sotto l’aspetto mentale, rappresenta il banco di prova più duro per professionisti ed atleti. Motivazione e gestione delle problematiche, come si pongono i tennisti nei confronti delle difficoltà: queste la basi dell’intervento del prof. Sammy Marcantognini. Lo scorso fine settimana il professionista di Fano, coadiuvato dalla dott.ssa Marianna Famiglietti, ha sviluppato sul campo queste ed altre tematiche con gli allievi della Tennis Academy. Per l’occasione riunita l’intera famiglia Academy presso la struttura di Avellino Est erano presenti anche gli allievi del Tc Capodimonte seguiti dal maestro Rombolà.

STIMOLARE LA MOTIVAZIONE – “La motivazione nasce in noi e mantenerla è una responsabilità dell’atleta – così introduce il suo pensiero Marcantognini – Il mio test sulla motivazione con i ragazzi è semplice. Chiedo chi vuole raggiungere determinati risultati. Ovviamente tutti rispondono affermativamente. Allora ne scelgo uno e lo invito a scegliersi un avversario. Quest’ultimo si attacca ai fianchi sulla linea di fondo e gli impedisce di avanzare a metà campo. Con più o meno difficoltà il protagonista riesce a raggiungere la meta. A quel punto gli dico che l’ho fregato: dovrà vincere la resistenza di tutto il gruppo per arrivare a metà campo. C’è chi abbandona e chi prova a trovare una soluzione al problema. La chiave dell’esercizio è tutta lì: non importa quanti centimetri fai in avanti ma come stai nel problema, in che modo lo affronti e che strategie metti in campo per risolverlo”.

FRENO E ACCELERATORE – “Un aspetto fondamentale nel tennis è far propria una tecnica psicologica: la gestione dell’attivazione e disattivazione. “L’atleta deve essere in grado di capire se è attivato o disattivato. Lo stato di sovrattivazione è di solito causato da troppo frenesia, agitazione, lo stato di disattivazione si mostra tramite un po’ di sonnolenza. Esistono varie tecniche per stimolare l’attivazione (stare sugli avampiedi, respirazione toracica, aprire e chiudere gli occhi e usare le mani) e per ridurla (respirazione di pancia, abbassare le palpebre, stare sui talloni)”.

INTEGRARE L’ASPETTO TECNICO CON QUELLO MENTALE – “La figura dello psicologo non è sostitutiva del tecnico ma è di sostegno. Si fa un buon lavoro quando il mental coach aiuta a leggere il linguaggio del giocatore, ma il responsabile resta l’allenatore. In questo deve esserci una precisa gerarchia. Credo che non ci sia una netta separazione tra apprendimento tecnico e mentale. Da questo punto di vista non ha senso un refrain che spesso si sente in giro. “E’ un giocatore bravo, ma non ha la testa” le due cose non possono essere scisse”.

I GIOVANI E L’ANSIA – Tra le domande più gettonate degli allievi: come si gestisce l’ansia e la pressione? “E’ importante fare un po’ di didattica delle emozioni. Bisogna conoscere l’ansia per poterla superare. Pensare di evitarla è una gara persa in partenza”.

LA GESTIONE DELLE PAUSE – “Il tennis è complicato proprio per le sue particolarità. Si gioca da soli, non è uno sport a tempo e ci sono molti momenti non giocati. La gestione di quegli spazi diventa fondamentale, sia in tema di disattivazione-attivazione, sia in termini di concentrazione. Se un match dura tre ore non posso pensare di mantenerla costante, ma devo imparare ad accenderla e spegnerla. E’ questo l’aspetto chiave del nostro lavoro che si migliora appunto con il training mentale”.

I PUNTI NEL TENNIS NON HANNO LO STESSO PESO – “E’ la chiave di tutto. E’ l’emozione che fa la differenza. In giro di giocatori che eseguono gesti tecnici puliti ce ne sono milioni, ma quelli che riescono a ripeterlo in quei sei-sette momenti decisivi di un match sono pochi. Alcuni, sempre meno, hanno doti innate, la maggior parte ha invece ha intrapreso un percorso che gli permette di coniugare gli aspetti biomeccanici del gesto con gli aspetti emotivi. Per farlo bisogna attrezzarsi già in età giovanile. Operare su questi equilibri in età adulta è più difficile. Proprio per questo è apprezzabile la sensibilità mostrata dalla Tennis Academy verso queste tematiche”.

UOMINI E DONNE – L’ episodio più insolito dal punto di vista comportamentale che si è trovato ad affrontare Marcantognini, introduce ad un altro aspetto fondamentale. “C’è una differenza sostanziale nel lavoro con i due sessi. A volte sembrano due lavori diversi. Il maschio si rapporta con l’attività agonistico in modo più semplice e banale. La femmina ha un approccio più complesso sebbene potenzialmente potrebbe mostrare anche maggiore motivazione ed attaccamento al lavoro. Il modo di agire è completamente differente. Se con gli uomini è possibile utilizzare le leva dell’orgoglio o della provocazione, con le donne è una strategia che porta spesso a disastri. Seguivo una tennista greca. Lei aveva litigato con un’avversaria. Le due si sono però ritrovate a fare il warm up affiancate sullo stesso campo. Non sapevo della questione. Ho passato una pallina a questa ragazza in fase di palleggio. La mia allieva l’ha presa come un tradimento”.

LA COMPONENTE GENITORIALE – “Il ruolo dei genitori è fondamentale. Noi professionisti possiamo incidere sulla dinamica psicologica del ragazzo in modo parziale. La relazione fondamentale è quella familiare. Se, ad esempio, vogliamo lavorare sull’autonomia e l’indipendenza e c’è una madre che magari gli prepara il borsone e lo accompagna ad un metro dal campo, diventa tutto inutile. La comunicazione tra allenatori e genitori, sul tipo di lavoro che si sta facendo, è un aspetto decisivo”.

IL TENNIS COME METAFORA DELLA VITA – “Una gara di tennis come metafora della vita: è davvero così, o è una forzatura un po’ romanzata? “Assolutamente vero. Lo sport in generale ed il tennis per le sue specificità è uno strumento di educazione alla vita. Credo che invece l’affermazione più generica “lo sport fa bene” vada precisata meglio. Lo sport fa bene quando ci sono allenatori ed educatori preparati che sanno valutare ed intervenire ed al tempo stesso ci sono genitori che non proiettano sui figli aspirazioni e frustrazioni”.

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