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Calcio Avellino, Salvatore Sullo: “In campo vanno sempre prima gli uomini. Una squadra normale non avrebbe mai vinto quella finale col Foggia”

Un grande uomo, dentro e fuori dal campo. Un uomo capace di lottare, soffrire, cadere e rialzarsi. Un vero esempio di caparbietà e determinazione, nel non mollare mai. Un vero capitano non solo in campo ma anche nella vita. Stiamo parlando di Salvatore Sullo, ex centrocampista dell’Avellino, tra le altre, ma che la sua storia da calciatore e allenatore l’ha scritta lontano dall’Irpinia, per ora. Sullo, alla trasmissione MITI, di Prima Tivvù, ha raccontato la sua carriera, le sue difficoltà, la sua lotta contro la malattia e la vittoria. Parole anche sull’Avellino, la squadra della sua provincia e di quell’esperienza del 2007.

Queste le sue parole: “Chiamatemi Sasà, che Salvatore mi chiama solo mia madre. Sono vissuto come vorrei che crescessero i ragazzi oggi, senza tv, smarthphone e tecnologia, ma andando a scuola, giocando a calcio e all’aperto e interagendo con le altre persone. Sono cresciuto con il mito del Torino e con Claudio Sala. Il toro è stata la mia prima squadra del cuore, poi è arrivato il Napoli, città dove sono vissuto. Col tempo però, sono diventato appassionato di calcio e non di una squadra e quindi oggi dovessi dirvi per chi tifo vi direi nessuna squadra ma amo il bel calcio. Dal 1985 al 1991 sono stato nelle giovanili dell’Avellino, che mi prese dopo avermi visto un una partita amichevole a Napoli. Poi fui mandato via con rammarico dall’Avellino, perchè non credettero in me e io ci rimasi male perchè furono presi ragazzi che erano meno bravi, e lo si è visto poi dalle carriere fatte. Ma non mi sono scoraggiato e ho fatto la mia strada lontano da Avellino. Alla Nocerina ho capito che il calcio poteva essere il mio “lavoro”. Grazie a Pierpaolo Marino poi, riuscii ad approdare al Pescara. A Reggio Emilia, poi, per due anni non andò benissimo, quindi tornai a Pescara dove mi raggiunse anche mia moglie che nel frattempo sposai nel  1997. Nel 2001, a quasi 30 anni, con oltre 200 partite in Serie B, scelti il progetto Messina, partendo dalla Serie C. Ricordo che mi voleva il Catania di Gaucci, ma mi fu parlato male di alcuni metodi e allora preferii il Messina. Ricordo quell’anno, era il 2000 -01, un campionato incredibile, un testa a testa siciliano a 3, noi, Catania e Palermo, poi veniva l’Avellino. Il Messina arrivò primo all’ultima giornata, dove giocavamo al Partenio. Di quel giorno ricordo un episodio pazzesco, quando giocammo ad Avellino. Noi eravamo primi, i lupi sicuri del quarto posto e dei playoff. Lo stadio fece il tifo per noi, visto il gemellaggio tra le tifoserie, per spingerci in B, ma perdemmo quella partita al Partenio 1-0. Al 90′ ci diedero un rigore che sbagliammo, qualche minuto dopo, nel recupero, segnò l’Avellino. Perdemmo il primo posto e il campionato (che vinse il Palermo) e dovemmo fare i playoff e nella finale decisiva con il Catania con un mio gol salimmo in B. Proprio quel Catania che avevo rifiutato. Da quel giorno sono un eroe a Messina. Poi ci fu la leggenda della Serie A, anni stupendi. Il Messina ritirerà anche la maglia 41, quella del mio numero. Decisi poi di andare via, perchè dopo la malattia del 2005, ero trattato diversamente perchè mi vedevano come uno guarito da una malattia grave e non mi piaceva. Non ero più un normale calciatore, ma nessuno, anche quando sbagliavo, mi riprendeva o aveva il coraggio di “cazziarmi”. Alla fine, con Maglione, arrivai ad Avellino nel gennaio 2007″. 

Sasà racconta la sua trattativa e i mesi in biancoverde con la promozione in C ai playoff: “Mi voleva la Cavese e credo che l’Avellino mi prese per non farmi andare a Cava, che era una concorrente diretta. Io accettai, senza ricevere nulla (il minimo di stipendio, 1200 euro al mese, ma non ebbi mai nulla dalla società) ma dando tanto, solo per chiudere un cerchio aperto 2o anni prima quando non mi fu permesso di dimostrare chi fossi. Ovvio, non potevo essere il miglior Sullo, il miglior Sullo già aveva dato gli anni precedenti, ma quello che avevo, lo diedi per la maglia biancoverde. Quei 6 mesi mi tolsi alcune soddisfazioni, con uno stipendio minimo, che avevo chiesto di raddoppiare in caso di vittoria del campionato. Vincemmo i playoff col Foggia, ma poi fui costretto ad andare via, sotto pressioni becere, con qualcuno che creò voci che l’Avellino avesse il mercato bloccato perchè Sullo voleva uno stipendio mostruoso, e con me furono mandati via i vari Moretti e qualche altro. Invece c’erano difficoltà societarie e qualche anno dopo arrivò il fallimento. In quella squadra che vincemmo i playoff, o meglio vinsero, c’era gente di cuore, veri uomini, ricordo Ametrano, Biancolino, Puleo, Evacuo, Moretti, Riccio, gente che ha fatto la storia qui ad Avellino. Quella finale col Foggia fu incredibile, a 5 minuti dalla fine stavo pensando come andare via dalla provincia per un pò, vivendo in provincia era meglio sparire per qualche tempo. Poi ci fu la magia di Rivaldo, e fu una vittoria di veri uomini, una squadra normale non avrebbe mai vinto quella gara”. 

Poi la sua esperienza da allenatore da vice, con Ventura, dal Bari alla Nazionale: “Non avevo scelto io di essere allenatore, nella vita arriva spesso tutto per caso. Dal Bari, ci furono stagioni belle, poi 5 anni a Torino, dove abbiamo raccolto belle soddisfazioni, riportando la squadra in Serie A. Poi la Nazionale, con la tragica esclusione dagli scorsi Mondiali. La Nazionale non è un club, è chiaro che è il sogno di tutti, mi sono goduto questa esperienza, mi spiace come è andata con la Svezia, ma non ci voglio tornare, è un capitolo brutto”. 

Infine parole sull’attuale Avellino in Serie D: “L’Avellino è in un momento non facile, cioè recuperare il primo posto è difficile, ma se saranno bravi e perseveranti potranno farcela. Hanno un allenatore, Bucaro, che è un mio amico fraterno, quindi posso solo che augurargli il bene. La società è solida e credo che riporterà questa società dove merita ben presto”. 

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