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Sportpeople (Anzio-Avellino): L’unica certezza continua ad esser dietro lo striscione

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Avevo lasciato gli avellinesi in una bollente giornata romana, a pochi passi dallo stadio Olimpico. In attesa che il Coni emettesse il suo verdetto sul ricorso presentato dall’allora società di Taccone contro l’esclusione dalla Serie B.

Li avevo dunque lasciati, con tutta probabilità, in una delle occasioni più tristi della loro storia recente. A nulla erano valsi i chilometri macinati dagli ultras per far sentire la loro voce: il Lupo ha dovuto subire l’umiliante estromissione dalla cadetteria e ricominciare – con una nuova società – dalla Serie D.

Un colpo inferto in maniera infima e letale ai supporter irpini, che si sono trovati – nell’arco di qualche settimana – dal disputare l’amichevole di lusso con la Roma all’affrontare trasferte “inedite” come Ladispoli e Anzio. Una palese cartina al tornasole della nostra estate calcistica. Di cui l’Avellino, suo malgrado, è stato indubbio protagonista.

Raggiungo Anzio in bicicletta, approfittando della bella giornata di sole che, coincidendo con il primo assaggio d’autunno dal punto di vista della temperatura, mi permette di percorrere l’intera Litoranea da Ostia costeggiando le spiagge ormai vuote e malinconicamente ricche di fascino.

Si gioca in infrasettimanale e il vecchio stadio Bruschini non registra certamente cifre da capogiro. Gli sportivi portodanzesi si contano sulla punta delle dita mentre i ragazzi che storicamente hanno sempre seguito la compagine tirrenica in maniera organizzata devono attualmente pagare la masnada di Daspo piovuti sulle loro teste all’inizio dello scorso campionato.

Se, dunque, per gli ultras l’assenza è – come si suol dire – forzata, il risicato numero di presenze lascia a desiderare malgrado sia parzialmente giustificabile dall’orario e dal giorno. Sarà che fino a qualche anno, in occasioni simili, quando un club blasonato veniva a far visita presso questi stadi, in tanti accorrevano incuriositi e inorgogliti di poter ospitare, nella propria cittadina, un pezzo di storia del calcio italiano.

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Anzio, per giunta, non è nemmeno l’ultimo dei poli calcistici regionali. Sia a livello di storia che di bacino d’utenza. Il segnale lapalissiano è sempre lo stesso: il sistema calcio che – tra i tanti discutibili obiettivi degli ultimi anni – si era imposto di emarginare e cancellare gli ultras, è finito con l’affondare tutta quella fetta di pubblico che gli stadi li frequentava “autonomamente”, per pura passione sportiva o di tanto in tanto, in occasione delle partite più sentite.

A suffragio di ciò, ovviamente, ci sono proprio gli ultras irpini. Una presenza di tutto rispetto la loro, perché, sebbene la distanza non sia ragguardevole, non bisogna mai dimenticare né il contraccolpo psicologico dovuto al duplice declassamento, né l’orario lavorativo.

Gli avellinesi ci sono, ci credono e non hanno mollato di un centimetro. Nell’era degli scioperi, delle contestazioni spesso facili e croniche e dei boicottaggi sovente frettolosi e di facciata, i biancoverdi hanno comunque continuato sulla loro strada. Lo striscione “Avellino” era presente lo scorso anno a Parma come lo è quest’oggi ad Anzio. E dietro c’è lo stesso spirito curvaiolo. Penso che ciò gli vada riconosciuto a prescindere.

“Chi è venuto qua deve tifare!”. Una direttiva impartita dai lanciacori a inizio partita e seguita alla perfezione per tutti i 90′. I campani mettono in evidenza tutta la loro “sapienza” in fatto di tifo, offrendo veramente un bello spettacolo. In campo la squadra li ripaga con un netto 1-3 che segna la terza vittoria su altrettante gare disputate.

I calciatori si portano sotto al settore ricevendo pacche e applausi dai sostenitori. Malgrado il tonfo e la delusione, si legge negli occhi dei presenti tutta la voglia di riconquistare quanto malamente perso in estate.

 

A cura di Simone Meloni

 

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