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Sarri e l’Avellino: quando andò via per mancata programmazione

Trentasei giorni. Giusto il tempo per rendersi conto che i fratelli Pugliese e il direttore generale Lucchesi lo stavano prendendo in giro. L’Avellino era stato appena promosso in serie B. Giovanni Vavassori, il tecnico della promozione dalla vecchia Serie C dopo la finalissima contro il Foggia, aveva mollato due giorni prima della partenza del ritiro. “Avevo esposto delle perplessità alla proprietà, parlando con Massimo Pugliese– affermò Vavassori andando via da signore-  Nonostante avessi presentato dieci giorni fa problematiche importanti, ad oggi nulla è cambiato. Anzi, siamo messi peggio di prima”. Lucchesi, l’allora diesse, si mise subito al lavoro. E scelse lui, l’ex bancario, Maurizio Sarri. Toscano, taciturno, dal carattere duro. Nelle tre esperienze precedenti con Sangiovannese, Arezzo e Pescara, si era sempre dimesso dopo aver raggiunto gli obiettivi. Ma Lucchesi lo convinse. Lo convinse ad accettare Avellino e mettergli a disposizione una squadra della serie B. Cominciò la sua avventura il 18 luglio. Un ritiro con pochi calciatori e tante chiacchiere. Lavorava in silenzio. Ma qualcosa non andava. Mai una parola. Non parlava alla stampa. Le cose le diceva in faccia al presidente e al diesse. Poi l’epilogo. Partita di Coppa Italia. L’Ascoli vince al Partenio 2-0. Il 23 agosto la decisione a due giorni dall’inizio del campionato. Dimissioni, senza se e senza ma. Poche parole. Lasciò Avellino senza clamorosi colpi di scena. “Non ci sono i presupposti per lavorare. Quello che avevo da dire l’ho detto alla società”. Nulla di più. Negli anni successivi non fu fortunato. Esoneri con Verona, Perugia, dimissioni con l’Alessandria, esonero al Sorrento. Prima dell’inizio del riscatto. La favola Empoli e il Napoli. Il caso Avellino torna d’attualità dopo gli screzi con De Laurentis. Sarri è di poche parole. L’esperienza Avellino insegna che lui parla poco con la stampa. Anzi, quasi nulla. I problemi li risolve con la proprietà. E la sua storia insegna che se non è rispettato, si dimette.

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