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Olimpiadi e doping di Stato: quando la Russia non è l’unica colpevole

I Giochi Olimpici sono stati influenzati per oltre quarant’anni dall’intensa lotta ideologica che vedeva contrapposti Stati Uniti e Unione Sovietica, che cercavano sempre di avere la meglio sull’avversario: l’orgoglio nazionale e i successi degli atleti erano spesso utilizzati per puri scopi politici. L’Olimpiade diventa quindi un palcoscenico importante nel quale una nazione può dimostrare di essere migliore dell’altra; un palcoscenico che anche i leader politici hanno cercato di sfruttare nel migliore dei modi a livello elettorale, come nel caso di Reagan durante i Giochi di Los Angeles 1984, essendo le elezioni di novembre ormai imminenti.

“Fair play significa molto di più che giocare nel rispetto delle regole. Esso incorpora i concetti di amicizia, di rispetto degli altri e di spirito sportivo. Il fair play è un modo di pensare e non soltanto un modo di comportarsi. Esso comprende la lotta contro l’imbroglio, contro le astuzie al limite della regola, la lotta al doping, alla violenza (sia fisica che verbale), allo sfruttamento, alla disuguaglianza delle opportunità, alla commercializzazione eccessiva e alla corruzione”. Il punto 6 del Codice Europeo di Etica Sportiva inizia cosi, cercando di metter in evidenza i concetti basi di competizione sportiva. La World Anti-Doping Agency (Wada) l’organismo internazionale che si occupa della lotta al doping nelle manifestazioni internazionali, con sede principale a Losanna, è responsabile del codice mondiale antidoping, introdotto nel 2004 poco prima delle Olimpiadi di Atene, adottata dalle principali organizzazioni sportive per un totale di 600 aderenti nel 2007.

Quest’organizzazione privata ha prodotto un documento, denominato McLaren, all’interno della quale è richiesta l’esclusione della Russia dalle Olimpiadi di Rio 2016.

russia olimpiadiL’accusa è pesantissima: 313 casi di doping, accertati da Vancouver 2010, in oltre 30 sport. Sempre all’interno del report sembrerebbe uscir fuori il coinvolgimento di alcuni membri del FSB, ex KGB, la polizia federale russa, impegnata nel creare una vera e propria rete di copertura per i test delle urine pulite. Un’ accusa dettagliata, resa possibile anche dalle dichiarazioni dall’ex direttore del laboratorio antidoping russo, Grigory Rodchenkov, fuggito negli Usa. Il rapporto parla esplicitamente di truffa sistematica degli atleti russi in tutte le competizioni, retaggi da passato sovietico.

Parole pesanti da tutta la comunità internazionale che colgono la palla al balzo per puntare il dito verso la Russia, colpevole per l’ennesima volta di dimostrare un totale disprezzo verso la comunità internazionale, ricordando le “Prove” discutibili presentate in passato in propria difesa. Clima da guerra fredda olimpica sembrerebbe.

Certo che quello che emergerebbe fuori evidenzierebbe un caso di Doping di Stato, Istituzioni russe ai massimi livelli: il ministero dello Sport, i servizi segreti, l’Agenzia nazionale antidoping (Rusada), il Comitato olimpico, lavoravano senza esclusione di colpi né risparmio di risorse con un solo obiettivo: mentire e imbrogliare la comunità internazionale.

Tutto ciò però porta alla memoria il famoso caso di Doping governativo denominato Piano di Stato 14.25 all’epoca della Repubblica Democratica Tedesca che vide coinvolto il ministro allo sport Manfred Ewald, l’ex Sportführer della Germania Est, l’uomo che diresse per 26 anni l’incredibile fabbrica delle medaglie d’oro e la sportiva di atletica leggera Heidi Krieger, specializzata nel lancio del peso, che nel 1986 conquisterà l’oro agli Europei di Stoccarda nel lancio del peso femminile, all’età di vent’anni con un lancio di 21 metri. Ora si chiama Andreas Krieger e le pillole blu, gli steroidi e gli ormoni l’hanno fatta diventare uomo.

Il panopticon è certamente quello sovietico, la stessa Urss ha programmato le sue vittorie nei laboratori di medicina, come la Wada sostiene abbia fatto negli ultimi anni la Russia, ma sostenere che il doping di stato è caratteristica dell’Est è una enorme falsità storica.

In America, una decina di anni fa, un report dell’Agenzia Antidoping ha rivelato che la maggior parte degli atleti olimpici a stelle e strisce sono risultati positivi a tracce di anabolizzanti ed altri farmaci, e le delle positività trovate negli Usa dal 1984 fino a Sidney 2000, sono state coperte o nascoste: le prove e le provette distrutte. Il cosiddetto scandalo Balco.

O come dimenticarsi le accusa balzate dagli USA verso il comitato olimpico Cinese di Doping Genetico alle olimpiadi del 2012 di Londra, il record di Ye Shiwen, la sedicenne cinese che nuotò nei 400 misti vinti con il record del mondo nello stile libero con tempi più veloci di Ryan Lochte e Michael Phelps nella stessa gara a livello maschile, non fu credibile ne tantomeno accettato. Ovviamente tensioni olimpiche, smentite del tutto dai test antidoping. Ma furono numerosi i battibecchi fra i due comitati olimpici.

Quando non è lo Stato a pianificare istruzione e sanità, non lo fa nemmeno nel doping, che diventa appannaggio di industrie in regime di libera concorrenza tra loro: ma il risultato non è molto diverso, e dato il lasciar fare è la precisa volontà di non controllare da parte degli organi federali, anche qui si può parlare tranquillamente di doping di Stato. Tutto ciò ci racconta di un intrigo internazionale di laboratori, tangenti, sponsor e corruzione di cui protagonista non è certo solo la Russia.

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