Imputati, in piedi. Dopo l’ennesima figuraccia, non si può più restare in silenzio. Farlo significherebbe essere complici. È arrivato il momento di mettere tutti sotto processo. Tutti, nessuno escluso. Sia chiaro, non si critica per il gusto di farlo ma solo perché è giunta l’ora di guardare in faccia la realtà. Sono passate solo dodici giornate e nulla è compromesso. A patto che tutte le parti in causa (società, allenatore, squadra e stampa) si assumano le proprie responsabilità e si facciano un esame di coscienza. Solo ed esclusivamente per il bene dell’Avellino.
[poll id=”36″] [tps_title]Società[/tps_title]Tutti chiedono la testa di Toscano, ma a ben vedere i principali responsabili di questo scempio calcistico sono proprio i vertici societari biancoverdi. Da un paio di mesi la confusione regna sovrana. Prima i ripetuti cambi al vertice della società, poi i vari deferimenti (casi Trotta e Arini, vicenda calcioscommesse) che porteranno la squadra ad avere una penalizzazione. E infine la pessima gestione di questo momento delicato. Una società forte, dopo le brutte sconfitte in trasferta delle ultime settimane, avrebbe dovuto assumere una presa di posizione chiara in merito all’allenatore. Cosa che in realtà non è mai stata fatta né da Taccone né da Gubitosa. Il silenzio sa di resa. E la resa fa più male delle prestazioni indecorose che i tifosi sono costretti a sorbirsi da un po’ di tempo a questa parte. Se Taccone non ha più la voglia né la disponibilità economica per andare avanti, si faccia da parte. Avellino gli è riconoscente per quanto fatto in questi sette anni, ma non si può vivere di rendita. Rispetto, chiarezza e trasparenza. Non si chiede altro.
[tps_title]Toscano[/tps_title]Se il buongiorno si vede dal mattino, c’era da aspettarselo. Il giorno della presentazione, infatti, Toscano si presentò con una cravatta granata. Battute a parte, il tecnico calabrese ha messo in mostra in questi primi quattro mesi di lavoro tutti i suoi limiti. Innanzitutto, il cambio modulo a dieci giorni dall’inizio del campionato. Dopo aver impostato la squadra sul 3-4-3, la virata sul 3-5-2. Senza accorgersi che questa squadra non ha i giocatori adatti per giocare con una difesa a tre. Parlare del gioco, poi, è come sparare sulla croce rossa. Questa squadra non ha idee e fatica a manovrare. In trasferta l’atteggiamento è rinunciatario sin dall’inizio. Così non solo non si raccolgono punti e non si segna, ma addirittura non si riesce a calciare in porta. La gestione mediatica, poi, fa sorridere. Toscano ha sempre l’alibi pronto. Spesso sembra che il tecnico veda una partita diversa. La piazza chiede la sua testa ormai da tempo. Nessuno decide né lui ha il coraggio di farsi indietro di fronte alla chiara volontà dei tifosi. D’altronde chi lo farebbe con un contratto triennale in saccoccia? La squadra I calciatori hanno deluso perché non hanno mostrato carattere. Dinanzi alle prime difficoltà la squadra si disunisce, si scioglie e i lupi si trasformano in agnellini pronti ad essere sbranati dell’avversario di turno. Storicamente, l’Avellino ha sempre sopperito con la personalità e la cattiveria agonistica ai limiti tecnici. Ma stavolta no. La squadra è fragile, incostante e impaurita. È giovane, troppo giovane. E per questo non è esente da colpe il direttore De Vito. Certo, non è facile fare ogni volta le nozze coi fichi secchi, ma stavolta il direttore si è fidato troppo di qualche amico che ha preferito rifilargli qualche cantonata di troppo.
[tps_title]Stampa[/tps_title]In questo difficile momento, l’atteggiamento della stampa non aiuta. Sicuramente anche da queste colonne abbiamo commesso diversi errori. Ma non abbiamo mai smesso di cercare di raccontare la verità. A molti piace essere sempre permissivi e filosocietari. Ma così si ci fa solo del male da soli. Sforzarsi di trovare aspetti positivi in serate come quella di ieri significa offendere l’intelligenza dei tifosi. Una critica costruttiva vale più di una carezza consolatoria. Occorre che lo capiscano tutti. Per il bene dell’Avellino.