Calcio e filosofia – I 10 top allenatori del Mondo messi a confronto
Calcio e filosofia. Un binomio bizzarro e, per alcuni, addirittura dissacrante ed esilarante (pensate al famosissimo sketch dei Monty Python sulla finale tra i filosofi greci e tedeschi). Eppure, a ben pensarci, questi due mondi hanno più di qualcosa in comune. Si può spiegare il calcio con categorie filosofiche e si può chiarire la filosofia facendo ricorso ad esempi calcistici. Filosofia è calcio. Calcio è filosofia. C’è una figura nel mondo del Dio Eupalla che si avvicina più di ogni altra a quella del filosofo: quella dell’allenatore. Così come i filosofi aspirano alla sapienza e alla verità, gli allenatori aspirano al gioco e alla vittoria. Entrambi ci arrivano attraverso un metodo. Ci sono allenatori che hanno creato vere e proprie scuole di pensiero. Rivoluzionari, visionari. Filosofi, appunto. Proviamo dunque ad accomunare dieci mister eccezionali a dieci grandi maestri del pensiero. Da Socrate-Guardiola a Nietzsche-Bielsa. Vi abbiamo incuriosito? Mettetevi comodi e navigate tra le pagine. Sapere aude!
Con il passare degli anni il volto del tecnico catalano è andato sempre più ad assimilarsi al suo gioco: un viso da saggio. Saggio lo era anche Socrate, per cui può essere sapiente solo chi sa di non sapere e indaga continuamente. Guardiola avrebbe potuto fermarsi a Barcellona, ma non lo ha fatto perché “una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta”. Ha girato l’Europa, avvalendosi di un metodo paragonabile alla maieutica socratica. Come il filosofo aiutava, con le sue domande, il proprio interlocutore a “partorire” la verità, così Guardiola fa partorire il bel gioco alle sue squadre. È riuscito a trarre fuori il tiki-taka persino dagli inglesi e dai tedeschi. Socrate portò uno schiavo alla risoluzione del teorema di Pitagora. L’ultima analogia tra i due è dovuta al rifiuto. Socrate diceva no alla scrittura, inadeguata al filosofare. Guardiola dice no al centravanti. Questione di stimoli.
[tps_title]Sofisti-Mourinho[/tps_title]
L’importanza della retorica. Ancor più che per le sue capacità tattiche, il mago di Setubal ha lasciato un segno soprattutto per le sue doti da comunicatore, sia con i giornalisti che con i propri calciatori. I sofisti insegnavano dietro compenso (a proposito di prostituzione intellettuale) ed erano capaci di “rendere migliore il discorso peggiore”. Mourinho, allo stesso modo, è stato tra i primi allenatori ad essere strapagati e, soprattutto, è in grado di manipolare la realtà. Riuscendo spesso a convincere gli altri del fatto che le cose siano esattamente come dice lui. Può piacere o no, ma questo suo modo di fare ha un obiettivo ben preciso: l’utile per sé e per la squadra. D’altronde la Repubblica di Platone si apre con le parole del sofista Trasimaco, secondo cui “il giusto è l’utile del più forte”. E Mou ha dimostrato spesso di essere il più forte.
[tps_title]Platone-Zeman[/tps_title]
Le idee sopra ogni cosa. Nella concezione platonica le idee sono le forme perfette, i modelli delle cose che abbiamo nella realtà e alle quali il filosofo deve aspirare. Anche per Zeman le idee rappresentano la realtà più alta. Una in particolare, quella del 4-3-3. Il boemo, come un demiurgo, adatta i giocatori alla sua idea e non viceversa. Sviluppa un calcio verticale, proprio come la filosofia platonica. Chi crede, poi, che Platone, autore dei Dialoghi, non possa essere associato al taciturno Zeman si sbaglia di grosso. Il boemo parla solo se ha qualcosa da dire, come voleva Platone. E pazienza se, quando lo ha fatto, ha rischiato di fare la fine dello schiavo che, ritornato nella caverna, viene deriso dai suoi compagni (“se potessero, lo ucciderebbero”). Per finire, il calcio di Zeman (che non porta alla vittoria) è come lo stato ideale di Platone: magnifico, ma irrealizzabile. Non è questo forse il loro fascino?
[tps_title]Aristotele-Capello[/tps_title]
Benché non sia stato un allievo di Zeman, come lo Stagirita lo fu di Platone, l’Aristotele del calcio non può che essere Fabio Capello. Nella ‘Scuola di Atene’ di Raffaello (1509) Platone solleva il dito verso l’alto per indicare il mondo delle idee, mentre Aristotele ha il palmo della mano aperto verso il basso. Il suo oggetto di ricerca non è il mondo soprasensibile, ma quello sensibile. Allo stesso modo, Fabio Capello bada alla sostanza. Il suo calcio non è né bello né brutto, ma straordinariamente concreto. Ed è basato su un sillogismo chiaro ed efficace: le grandi difese non subiscono gol; chi non subisce gol vince; le grandi difese vincono. È in questo modo che Capello passa dalla potenza all’atto, all’entelechìa. Alla vittoria.
[tps_title]Epicuro-Ancelotti[/tps_title]
“Il culmine del piacere è la pura e semplice distruzione del dolore”. In tutta la sua carriera da allenatore, Carlo Ancelotti ha fatto di questa massima epicurea il suo mantra. Ha sopportato e cercato di assecondare le pretese di presidenti burrascosi. E quando ha capito che il suo ritorno al Milan avrebbe turbato il suo animo, ha preferito rifugiarsi per un anno nel suo Giardino. Rispettando alla lettera il precetto epicureo del “lathe biosas” (“vivi di nascosto”). Ha sempre trasmesso al gruppo serenità e quiete. Spesso diventando amico dei calciatori. Amicizia che, per Epicuro, nasce dall’utile ma che è anche un bene in sé. Questo suo modo di fare è molto apprezzato dai suoi calciatori, che spesso gli hanno regalato la Champions. Epicuro l’avrebbe considerata un bisogno non naturale e non necessario. Ma una piccola eccezione si può anche concedere.
[tps_title]Machiavelli-Simeone[/tps_title]
Negli ultimi anni quando si parla di Diego Pablo Simeone si tende a definire il suo modo di fare calcio con un termine preciso: Cholismo. Quasi come se si trattasse di un leader politico-militare. Ecco perché non potevamo che associarlo ad un filosofo politico. Per la precisione a Niccolò Machiavelli. “Coloro che vincono, in qualunque modo vincano, mai ne riportano vergogna”, scrive il pensatore fiorentino nel Principe. E Simeone la pensa esattamente allo stesso modo. Se distruggere il gioco avversario, chiudendosi in difesa e ripartendo in contropiede, porta alla vittoria, perché farne un problema? E chi lo accusa di essere fortunato sappia che la sorte muta. Per controllarla bisogna affrontarla con impeto. E il Cholo lo fa.
[tps_title]Kant-Michels[/tps_title]
Nella storia della filosofia sono stati davvero pochi quelli che hanno dato una svolta e un taglio netto rispetto al passato. Immanuel Kant è sicuramente tra questi. Anzi, è forse addirittura il più importante. Rinus Michels, allenatore di Ajax, Barcellona ed Olanda, è il corrispettivo calcistico del filosofo tedesco. Il tecnico olandese, prima di ogni altro, ha ordinato i suoi concetti di gioco e ha lasciato poi i suoi uomini liberi di interpretarli in campo. È la nascita del calcio totale. Se pensiamo all’estetica kantiana, quello di Michels è un calcio sublime, cioè capace di risvegliare in noi l’idea dell’infinito e della totalità. Le sue squadre sono “arte bella”. Arte che solo un genio può produrre. Un genio di nome Rinus Michels.
[tps_title]Hegel-Sacchi[/tps_title]
Il tutto prima delle parti. Sia Hegel che Sacchi hanno fatto di questo principio l’essenza dei propri sistemi. Se il filosofo tedesco credeva che lo Stato venisse prima degli individui e li fondasse, allo stesso modo il vate di Fusignano ha sempre sostenuto che il gruppo è più importante dei solisti (“se non c’è una grande idea, puoi avere dei grandi interpreti, ma questi interpreti non potranno esprimersi”). Uno dei capisaldi del sistema hegeliano afferma poi che “ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale”. Il calcio di Sacchi è perfettamente in linea con tutto ciò. Tutto ciò che accade in campo ha una ragione di essere. Anche il destino dei due è decisamente simile. Sono personaggi condannati a far discutere: o li si ama o li si odia. Non esistono mezze misure.
[tps_title]Marx-Cruyff[/tps_title]
Rivoluzionare. Un chiodo fisso per Marx e per Cruyff. Il filosofo sognava di trasformare la società, attuando il passaggio dal capitalismo al comunismo. Cruyff, invece, prima in campo e poi in panchina, ha dato vita al culto del bel gioco e del possesso palla. La ricerca della creatività è uno dei punti fondamentali del calcio totale di Cruyff. E la creatività è un valore che lo stesso Marx cerca di difendere, scagliandosi contro l’alienazione. Quest’ultima è rea, tra le altre cose, di separare l’operaio dalla propria essenza (che lo vorrebbe libero e, appunto, creativo). La prima regola del calcio di Cruyff è però un’altra: “Gioco di squadra. Per fare le cose, dovete farle insieme”. Marx, siamo sicuri, avrebbe apprezzato anche questo principio.
[tps_title]Nietzsche-Bielsa[/tps_title]
Basterebbe solo il suo soprannome, El Loco, a creare un parallelismo tra l’allenatore argentino Marcelo Bielsa e il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche. Quest’ultimo era davvero malato di mente e oggi c’è addirittura chi ritiene che la follia abbia favorito la sua creatività filosofica. Bielsa invece è chiamato Loco perché alcune risposte che ha dato per risolvere delle situazioni “non corrispondono alle abitudini delle persone”. Eccola la parola chiave: abitudini. Una parola che non va proprio giù ai due soggetti in questione. Bielsa è contro la rigidità degli schemi ed è per un calcio dinamico, in continuo divenire. Nietzsche individua nel prevalere dello spirito apollineo (l’abitudine rassicurante, la razionalità) sul dionisaco il motivo della decadenza della tragedia e della civiltà occidentale. Entrambi vanno oltre le convenzioni, dunque. Entrambi vanno oltre l’uomo. Sono eccezionali, fuori dagli schemi e per questo incompresi.