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Viaggio tra gli Imaret Tayfa: “Il Qarabag è un simbolo. Noi più forti della guerra”

“Il Qarabag è la nostra patria, anche se alcuni di noi non sono nati lì, le nostre anime appartengono a quella terra” . A parlare è uno dei capi ultras degli Imaret Tayfa, gruppo ultras del Qarabag, prossimo avversario della Roma in Champions League. Li abbiamo incontrati prima del match contro il Chelsea di Antonio Conte. Disponibili ma al contempo fortemente distaccati. Diffidenti. Ma corretti. Incredibilmente correnti. Con una storia alle spalle incredibile. Nascono nel 2009 ed il loro nome, come stesso lui ci racconta, riprende il vecchio stadio del Qarabag, l’Imaret stadium di Agdam costruito nel 1952 ed andato distrutto durante un bombardamento del 1993. “Tayfa” invece significa tribù, clan, gruppo, quel senso di appartenenza con il territorio di Agdam ed ecco che nasce l’Imaret Tribù. “Il Qarabag è un simbolo per tutti noi e per tutto l’Azerbaigian, anche se la guerra ci tiene lontani da quel territorio il Qarabag esiste ancora”.

Si percepisce il grado di orgoglio di questi tifosi a pelle, e toccar l’argomento della guerra non è dei più facili, anche se molti di loro sono nati e cresciuti lontani dal conflitto, molti familiari invece mantengono vivo il ricordo di quei giorni, il rancore e la voglia di ritornare è forte  ed il grado di tensione sull’argomento è tale da render impossibile rubar due parole. Nel 2016 gli animi lungo il confine si riaccesero con numerose esercitazioni da parte di entrambi i fronti in attesa del passo falso dell’avversario per far scatenare l’indicibile. Gli Imaret Tayfa nel momento in cui si tocca l’argomento guerra cambiano atteggiamento, la disponibilità mostrata in un primo momento svanisce e la conversazione assume toni distanti, seccanti, rispondendo con un chiaro “No, non ne vogliamo parlare. Noi siamo ultras e questi argomenti ne possono parlare solo i superiori, i patrioti del nostro gruppo”. Una chiusura ermetica che non fa trapelare nessuna parola in merito ma che rispecchia la situazione di tensione interna al paese in merito al Nagorno Karabakh.

Quel che rimane ancora vivo, è proprio la squadra di calcio di Agdam, il Qarabag. Squadra itinerante, una società in perenne trasferta dal 1993, oltre 24 anni di partite giocate lontane dal proprio covo, lo stadio Imaret di Agdam, inaugurato nel 1952 ed andato distrutto con la guerra.

Più di un club verrebbe da dire, attualmente il Qarabag rappresenta la memoria storica di una città che non esiste più, di gente che non  c’è più. Il Qarabag, è il punto di partenza per la ricostruzione di quello che era Agdam ed anche un modo per non dimenticare quel che fu la guerra del Nagorno Karabakh.

Il primo titolo del campionato azero arriva proprio nel 1993, una settimana dopo la presa e la distruzione di Agdam, ovviamente all’ombra delle notizie dell’epoca, occupate a raccontare la violenza della guerra. Protagonisti della guerra anche alcuni membri della stessa squadra del Qarabag, basti pensare all’allenatore Allahverdi Teymur Oglu Bagirov che si arruolò, raggiungendo il grado di comandante, morì sul fronte mentre aiutava dei rifugiati a scappare nel giugno del 1992. Le sue gesta non passeranno inosservate come la vittoria del titolo, divenendo l’eroe nazionale  dello stato dell’azero, da sempre ricordato dai sostenitori del Qarabag da uno striscione a lui dedicato ed esposto in tutte le partite del club.

Il Qarabag è un modello identitario dell’Azerbaigian, un modello per trasportare un’immagine positiva all’estero, Lo sport e il calcio, in particolare, sono stati usati per migliorare l’immagine del Paese, afflitto da evidenti problemi sul fronte dei diritti umani. Non è quindi una sorpresa che il governo dell’Azerbaigian sia pronto ad investire positivamente sul Qarabag, club che ha raggiunto la fase a gironi della Champions League prossimo avversario dell’As Roma.

L’interesse per lo sport da parte del governo azero è evidenziato dalle trasformazioni che ha investito la città di Baku, che da anonima città sovietica si è trasformata in una dinamica metropoli occidentale attraverso l’organizzazione di diversi eventi culturali e sportivi. Dal 2002 ad oggi la città ha ospitato 36 manifestazioni sportive differenti. L’idea di ripulire l’immagine del paese, macchiata da brogli elettorali, arresti di giornalisti e repressione, attraverso lo sport, ed il calcio in particolare, è probabilmente di Ilham Aliyev, presidente dell’Azerbaigian dal 2003.

Essere tifosi del Qarabag in un contesto simile non è semplice, e si vive quella squadra con un sentimento in più, non è una squadra è il ricordo di migliaia di rifugiati, è una squadra che simboleggia gli orrori della guerra e forse da quel momento in poi è uno strumento di potere dell’Azerbaigian.

I tifosi del Qarabag sono molto fieri del proprio team, raccontare la loro storia e difficile perché in molti non voglio ricordare le atrocità degli anni 90 ed altri invece non erano ancora nati, e si aggrappano al club ed al mondo ultras degli “Imaret Tayfa” creando un rapporto diretto con la propria vecchia terra d’origine, attualmente lontana da loro da una cortina di fuoco che separa il Nagorno Karabakh dall’Azerbaigian.

Gli Imaret Tayfa sono un gruppo ultras fiero, moderato, fedele all’immagine del soldato ed ex allenatore Allahverdi Teymur Oglu Bagirov, che portano con se in ogni match disputato dal Qarabag. Una sorta di gagliardetto identificativo. “Con lui ci sentiamo protetti. E’ il nostro simbolo. Il nostro ossigeno, un modello da seguire. Come siamo fieri di girare l’Europa, quest’anno. Perchè il Qarabag è un simbolo, una identità e ne andiamo orgogliosamente fieri”

 

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