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L’urlo dei tifosi: “Non abbiamo più nulla, dateci l’Avellino”

Forse non tutti capiranno, molti la interpreteranno come un’inutile esagerazione. Eppure nei giorni successivi al disastro del terremoto, sono in centinaia i tifosi che rivolgono il loro pensiero al lupo e all’Avellino. Chiaramente le preoccupazioni sono di ben altra natura. Si scava tra le mani per salvare vite umane, si piangono le vittime. Eppure il cordone con la squadra non si spezza mai, anzi si rafforza. Come noto, l’Avellino diventa il collante sociale dell’intera provincia, il modo migliore per onorare la memoria e solidificare l’orgoglio.

Per tutti questi motivi fanno specie, ma solo fino ad un certo punto, le cronache dell’epoca. Sono in centinaia – si dice – i tifosi che si presentano alla sede dell’Avellino nei giorni successivi al 23 novembre. Hanno perso tutto: case, beni, persino familiari nei casi più drammatici. Tra le perdite c’è anche l’abbonamento, di sicuro la cosa meno importante, ma che viene rivendicata con gli occhi lucidi e i polsi tremanti. No, non è solo calcio. Nell’urlo di chi si presenta in sede per chiedere una copia dell’abbonamento non c’è lucro, non c’è futilità, non c’è leggerezza.

Il calcio, quella squadra e quella rincorsa verso una salvezza impossibile sono l’unico legame con i sogni. Il filo della normalità si è spezzato, ma l’Avellino è la disillusione che scalda i cuori. L’unico svago possibile, l’unico modo per sentirsi ancora parte di qualcosa. La possibilità di sentirsi vivi. Per questo non deve meravigliare il grido di disperazione di un tifoso di Solofra, che sotto le macerie ha perso persino la figlia di tre anni: “Sono un abbonato di vecchia data e quando potevo pagare, ho aiutato l’Avellino per anni. Ora chiedo che l’Avellino aiuti me“.

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