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Calcio Avellino – L’ex Ardemagni: “Quanto accaduto ad Avellino la scorsa estate mi ha segnato”

Reduce da un gol pesantissimo a Pasquetta, che ha regalato il successo all’Ascoli sul Venezia, Matteo Ardemagni, ex attaccante dell’Avellino, ha parlato ai microfoni de la Gazzetta dello Sport. Una intervista a 360° la sua, dove si è parlato di tutta la sua carriera, con qualche passaggio anche sulla sua esperienza ad Avellino.

Queste le sue parole: “Sono il classico attaccante di categoria in Serie B? Non penso, io credo di valere di più. Non sono uno che dà la colpa agli altri o si piange addosso, ma devo dire che non ho mai avuto la possibilità di confrontarmi con il calcio che conta. Il Chievo mi aveva preso per fare la quarta punta in Serie A qualche anno fa, ero chiuso da Thereau, Pellissier e Paloschi. Così a gennaio ho deciso di cambiare squadra e andare a Carpi. E forse questo è stato un errore. Avrei dovuto aspettare, ma sono fatto così, non ho pazienza o voglia di stare in panchina sperando che arrivi il mio momento. Sono un istintivo, devo essere al centro dell’attenzione. Il Milan? Ho fatto tutte le giovanili fino alla Primavera, ho esordito anche in Coppa Italia in una gara con il Brescia. E’ stata un’esperienza bellissima. Dormivo lì, mangiavo lì, mi sono confrontato con campioni come Sheva, Kakà e Inzaghi, che anche oggi è il mio modello. Mi suggeriva i movimenti da fare, parlava molto, la sua fame mi è rimasta dentro. Sapeva segnare in qualsiasi modo, l’ho sempre ammirato per questo. Volevo diventare po’ come lui, anch’io faccio il lavoro sporco là davanti. Il mio gol più bello? Forse quello al Lecce ai tempi del Cittadella: un destro al volo che sorprese anche me. Ma non sono abituato a fare cose da fenomeno. Sono come Pippo, penso a buttarla dentro. Al Cittadella il mio anno migliore insieme a quello al Modena, sono state esperienze davvero belle. A dicembre scorso ho segnato il gol numero 100 in Serie B, avrei potuto farne qualcuno in più senza dubbio”. 

Ardemagni poi parla del rapporto con Foscarini, che ritroverà anche ad Avellino e della situazione della scorsa estate in biancoverde: “Foscarini? Quanto ci stressava con la sua programmazione neurolinguistica! Scherzo, ovviamente. È uno che parla molto e con tutti, ma a me non serviva. Sono il miglior motivatore di me stesso. Ho giocato in 3 società che poi sono scomparse, Modena, Triestina e Avellino. Mi ha colpito soprattutto quello che è successo ad Avellino, vedevo gente piangere in strada, tutto è precipitato da un giorno all’altro. Non era facile stare tranquilli, riuscire ad allenarsi con questo pensiero in testa. Quel popolo non meritava quella fine, ci eravamo salvati sul campo a maggio. Perdere una categoria così è stato doloroso. Ad Avellino ho ritrovato in panchina due vecchie conoscenze. Novellino, il solito martello. E Foscarini, sempre uguale. La stessa macchina di 10 anni prima, la stessa passione per gli studi di psicologia”.

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